Non frenano gli investimenti nel made in Italy: Lumberjack?

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Non frenano gli investimenti nel made in Italy: Lumberjack?

Aprile 2012. Dopo Bulgari, Parmalat, Gancia, Colombo via della Spiga, potrebbe essere Lumberjack a passare sotto il controllo di un gruppo straniero.
In tutto dal 2009 al 2011 le aziende italiane passate sotto il controllo di aziende e società di altri Paesi sono state 229. Secondo i dati dell’ufficio studi di KPMG nel 2011 le operazioni estero su Italia hanno costituito il 64% in controvalore e il 33% in volumi del mercato M&A (merger e aquisition) italiano complessivo.
Molti delle aziende che sono passate di mano sono marchi del made in Italy conosciuti in tutto il mondo, ma ad essere interessati sono tutti i settori dell’economia, dal consumer market all’industrial market, dai servizi e infrastrutture alla comunicazione e intrattenimento.
Ad acquistarle statunitensi, francesi, britannici, innanzitutto; ma gli investitori provengono da tutto il mondo.

L’Italia attira investimenti
Secondo i dati di KPMG le acquisizioni sono state completate prevalentemente da investitori finanziari e ‘private Equity (33 su 54 per la Gran Bretagna e 36 su 95 operazioni per gli USA), mentre la Francia ha seguito logiche più prettamente industriali (solo 10 delle 63 operazioni realizzate nel periodo sono state concluse da investitori finanziari e Private Equity).
Sono dati che dimostrano che l’Italia è un Paese in grado di attirare gli investimenti e che il made in Italy ha un appeal che, se attentamente stimolato, può essere trasformare in un forte elemento di business. Questo “nonostante l’emergere di nuovi competitor globali e la presenza di alcune condizioni sfavorevoli di sistema (burocrazia, elevata fiscalità, alto costo del lavoro, ecc.).”

1 commento

  1. E ora che anche un altro gioiello come Ducati va in mani straniere, mi viene da pensare che quello che sta avvenendo è una nuova fase di colonialismo. Colonialismo di tipo industriale, ma soprattutto finanziario. Il tessuto industriale italiano fatto in gran parte dalle piccole e medie imprese in un mercato ormai globalizzato deve essere visto come un'anomalia e non come una peculiarità. Il fenomeno dei Fondi e delle Private Equity che poteva e doveva essere uno strumento di crescita e trasformazione della piccola e medio impresa nazionale si è in realtà dimostrato funzionale a rendere più appetibili all'investitore straniero le nostre aziende. E non credo che questo fenomeno si arresterà presto. Ora le domande: Perchè? Di chi è la responsabilità? Di una classe imprenditoriale che non riesce a fare massa critica per crescere, difendersi e, magari, conquistare spazio all'estero (come hanno fatto gli altri in Italia). Da una cultura che ci fa vedere l'estero come un campo minato, da non toccare per paura di scottarsi? Di una classe politica che non è in grado di difendere i propri "confini" industriali? Non lo ha mai fatto (mi viene in mente lo scempio della cessione di piccoli gioielli fatto dall'IRI) e probabilmente non lo farà mai perchè non sembra in grado di sviluppare una politica di sviluppo industriale? Qualunque sia la risposta, è un peccato, perchè la creatività, la qualità e le potenzialità di noi italiani sono evidenti e riconosciute da tutti. Tranne da noi stessi. Peccato, veramente, peccato.

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