Osteria del Sole di Bologna, un posto autentico
Dicembre 2012. A due passi da Piazza Maggiore è aperta fin dal 1465 l ‘Osteria del Sole di vicolo Ranocchi, tra via Orefici e Pescherie Vecchie. Certamente pochissime città possono vantare il primato di questa osteria, tanto più se si tiene conto che i secoli trascorsi non le hanno arrecato danni clamorosi, anzi…
Nell’Archivio di Stato di Bologna esistono documenti che comprovano questi dati: nel Fondo del Governo Misto, Assunteria di Camera, Tesoreria del Vino, Miscellanea; come pure nel Fondo della Questura, Atti generali, titolo IX, 1871. Ecco un foglietto manoscritto con disegnato lo schizzo della pianta dell’Osteria del Sole…
Due fogli del 1541 parlano dei conti dell’osteria "salvo meliori judicio, et juri calculi" fra l’oste Bartolo e la famiglia di Nicolò Sanuti, proprietaria di parte dei locali. Il contratto d’affitto iniziava a San Michele, il 29 settembre, giorno in cui si facevano traslochi, si cambiavano affittanze, si rinnovavano le licenze (nella tradizione e ancora oggi si dice "fare San Michele"), pari a un costo annuo di 130 lire. Cent’anni dopo, il notaio Graziano, amministratore dell’eredità Sanuti e conduttore dei padri domenicani, cede in affitto l’osteria al conte Marcantonio Ranuzzi, come conduttore, con la facoltà di poter subaffittare, come avvenne il 9 del corrente mese di gennaio 1675 a Pompeo Negri.
La documentazione, abbondante, trovata all’Archivio di Stato è più che sufficiente per raccontare la storia dell’esercizio. Ma in questa occasione ci pare superfluo esibirla o trascriverla per intero. Nel 1712 Giuseppe Maria Miteli nella incisione "Giuoco nuovo di tutte l’osterie che sono in Bologna", è raffigurata alla penultima casella, la 59, l ‘insegna dell’osteria del Sole. Proprio questo sole realizatto nella incisione è stato recuperato come marchio qualche anno fa.
Per Bologna ha significato, espresso, indicato la necessità di fermare, anche per pochi attimi, le sudate faccende; di riposare il corpo e la mente , d’accompagnare i rapporti umani con il dialogo, il silenzio, l’ascolto, la riflessione. Proprio lì, nel cuore del mercato, il portone aperto, la vetrata spalancata, tavoli lunghi paralleli alle pareti, panche e seggiole impagliate capaci di nascondere l’età, accoglievano, disponibili, chiunque entrasse. La scusa, si sa, avrebbe suggerito un bicchiere di vino, la bottiglia nera, pesante, fresca di cantina da consumare tra amici.
E cosí per 500 anni, e tanti osti, fino al 1940 in cui l’osteria passa nelle mani di Debora Donini, in società con il padre di Luciano Spolaore, quindi la licenza finisce alla signora Anna Adele Canazza, moglie dello Spolaore e madre di Luciano e Renato. Gli Spolaore si erano trasferiti da Stanghella proprio per prendere l’osteria quando il figlio minore Renato era appena nato e li lavoravano prima i genitori e dopo il figlio Luciano con la mamma Adele fino alla sua morte, il 4 gennaio 1991. Anche Luciano, oste carismatico é appena scomparso nel 2008 e l’osteria rischiava la chiusura definitiva. Poi per fortuna grazie all’impegno della terza generazione Spolaore tutto rimane uguale e questo tempio della bolognesità ritrova la grinta di un tempo. Per molti anni ancora.
Caratteristica principale: comprate della porchetta nella rosticceria poco distante e entrate nell’Osteria. Vi sedete e al banco ordinate, ad esempio, un sauvignon. Mangiate, bevete e rimanete una mezzoretta ad ascoltare le interminabili discussioni intorno alla partita di scopone. Costo? 2,50 euro. Impagabile, davvero.
Concordo pienamente con l'articolo. Posti come questi andrebbero evidenziati in ogni città d'Italia sempre che ancora esistano.