Per una spesa sostenibile c’è bisogno di trasparenza. Il caso Coop

Data:

Gennaio 2020. Quanto è facile per un consumatore oggi fare una spesa all’insegna della sostenibilità? In che modo i retailer aiutano il consumatore ad orientarsi?
Con queste domande ci siamo lasciati nel primo resoconto di una spesa sostenibile pubblicato qui. Abbiamo poi fatto il primo esperimento di acquisto sostenibile in un punto vendita Conad e in questa terza puntata andiamo ad applicare il metodo davanti allo scaffale del latte Coop.

Ci siamo messi nei panni di un consumatore consapevole e siamo andati nel punto vendita per fare un esperimento, scegliendo un paniere di prodotti di consumo quotidiano basati solo sulla marca del distributore.
Di seguito raccontiamo una delle prime esperienze che ha avuto luogo nel punto vendita di prossimità inCoop in centro storico a Bologna – via Oberdan.
Reparto Latte, Formaggi e latticini
Prodotto: Latte
Marchio: Coop

L’esperimento davanti allo scaffale.
Guardando lo scaffale frigo il latte è nel ripiano più basso. I cartellini del prezzo sono tutti uguali, quelli standard con le indicazioni di legge -come si vede dalla foto- riportano il prezzo su fondo bianco. Non ci sono stopper o offerte in questo momento, nulla dello scaffale ci orienta verso un prodotto in particolare, il compito è lasciato al colore dei tappi e del packaging.
Si distinguono 4 linee di prodotti a marchio Coop:
Latte Fresco Alta Qualità di Montagna – Fior Fiore 1.36€
Latte Fresco – Origine 1.12€
Latte Biologico Microfiltrato – Vivi Verde 1.50€
Latte pastorizzato microfiltrato – Origine 1.09€

Il tappo con i toni caldi e scuri della linea Fior Fiore attira l’attenzione, assieme alla bottiglia trasparente e all’etichetta che anche dall’alto si intuisce colorata. È senz’altro il prodotto che appare di maggior pregio tra i quattro.
A giudicare dai messaggi visivi tra packaging ed etichetta il miglior candidato sembra essere proprio questo:
ammicca alla naturalità con la sua specifica di latte di Montagna e la zona di mungitura di rinomata qualità( Il Trentino),
conferma con l’immagine di mucche in pascolo alpino la differenza da tutti gli altri prodotti a marchio, e in più vanta una dicitura di “eccellenza gastronomica” che eredita dalla linea Fior Fiore che giustifica il prezzo di 1,36€,  circa il 25% in più della prima linea a marchio Coop che va da 1,09€ a 1,12€.

Il latte biologico ViviVerde è un po’ meno attraente per via del packaging in cartone accoppiato ma il colore verde del tappo e la certificazione biologica sono indicatori di sostenibilità che potrebbero far propendere per questo prodotto, anche se il prezzo di 1,50€ è circa un 40% più alto del latte fresco Origine.
Approfondiamo l’analisi e verifichiamo se uno dei due prodotti si conferma il più sostenibile.

Analisi del prodotto
Per questa tipologia di prodotto gli indici di sostenibilità che un consumatore consapevole e in cerca di sostenibilità può valutare davanti allo scaffale sono:
L’origine della materia prima – latta italiano, Alta Qualità, biologico
Lo stabilimento di produzione – la distanza
Il trattamento di conservazione – fresco, microfiltrato, ESL, UHT
Il packaging – se riciclabile, se di materiale rinnovabile, se certificato

La materia prima – latte italiano, AQ, bio
La zona di mungitura indicata è per tutti prodotti l’Italia, con la garanzia di una tracciabilità che Coop fa sua da un po’ di tempo e con buoni risultati che però ancora non vedono una filiera interamente digitalizzata e tracciata in modo da essere totalmente accessibile al consumatore finale.
In ogni caso su questo indicatore registriamo un ottimo livello generale con un prodotto che si distingue grazie un dettaglio geografico maggiore sulla zona di mungitura, il Trentino del latte Alta Qualità di Montagna Fior Fiore.
Il latte Origine, fresco e non, viene da filiera italiana di qualità ma non è di una zona specifica di mungitura. Entreremo poi nel merito delle differenze tra le materie prime, apprezzabili al gusto ma non rintracciabili nell’etichetta nutrizionale e quindi non misurabili dal consumatore davanti allo scaffale.
La certificazione biologica e la dichiarazione di rispetto ambientale che accompagna tutti i prodotti della linea ViviVerde sono una chiara indicazione di sostenibilità (pur con tutte le specifiche del caso fatte sul biologico nel precedente articolo) e si vanno a contrapporre all’indicazione Alta Qualità che solo indirettamente rimanda a valori di sostenibilità quindi sembra più debole in quanto meno specifica.
La domanda rimane aperta: sarà più bassa l’impronta ambientale di un latte biologico o di un latte di montagna Alta Qualità? È una differenza apprezzabile o sono equivalenti seppure con diverse caratteristiche?

Stabilimento di produzione – la distanza
La zona di mungitura indicata è per tutti prodotti l’Italia, quindi diventa rilevante lo stabilimento di produzione per valutare la distanza e le emissioni di CO2 da trasporto. Per tutti i prodotti, biologico compreso, lo stabilimento è Casalmaggiore (CR) a 117 km, mentre per il solo latte Fior Fiore siamo a Sizzi di Gradolo (TN) a 231 km.
Anche in questo caso ci sono domande a cui non possiamo rispondere per carenza di informazioni da parte del retailer: quanto incide la distanza del punto vendita dallo stabilimento di produzione sull’impronta ambientale? È significativa, o vista l’alta impronta di CO2 sarebbe un valore residuale? Perché Coop non adotta un prodotto del territorio (entro i 50km di distanza si può definire tale) e invece si approvvigiona fuori regione?

La provenienza trentina fa la differenza e in questo caso sicuramente in negativo sul trasporto e relative emissioni che vanno almeno in parte bilanciate con l’eccellente livello di benessere animale di piccoli allevamenti in zone montane.
Non possiamo dire – almeno senza scomodare un esperto della materia e fare qualche calcolo – quanto incidano con precisione 100 o 200 km di trasporto sull’impronta ambientale del latte ma sappiamo che non dovrebbe cambiare di molto (100-200 gr di CO2) l’impronta ambientale del latte che già di per sé è molto alta. Infatti siamo a circa 1 kg di CO2 equivalente ogni litro di latte prodotto (escluso il trattamento termico, il packaging e la logistica fino al punto vendita – fonte CRPA), e se consideriamo che il carburante ha un’impronta di CO2 in media prima dell’uso di oltre 2kg per litro, abbiamo un quadro più chiaro delle dimensioni del fenomeno.
Non dimentichiamo infatti che il sistema agroalimentare contribuisce per un 25-30% alle emissioni responsabili del riscaldamento globale, soprattutto con la componente zootecnica per carni e latticini.

Trattamento
Il latte fresco microfiltrato sembra quello da preferire tra i trattamenti di conservazione: non incide sulla qualità, non usa alte temperature e migliora sensibilmente la durata (10 gg dal trattamento) che adesso non è più obbligatoria ma lasciata al giudizio del produttore. Non si ha notizia di campagne di comunicazione sul latte microfiltrato dal punto vista dell’impronta ambientale, a quanto pare ce ne sarebbero i presupposti. Diverso ragionamento per quello con l’indicazione Alta Qualità che è regolata per legge e impone sia un trattamento a minore temperatura (meno CO2 emessa di quello pastorizzato ad alta temperatura), sia livelli minimi del 15.5% di sieroproteine rispetto al 14% del latte fresco (qualità e caratteristiche nutrizionali di prodotto).
Per il latte biologico non c’è una normativa di questo tipo trattandosi di certificazione di processo e non di prodotto, ma il latte ViviVerde è stato microfiltrato e risulta quasi identico a quello Alta Qualità che però viene pastorizzato (le differenze in etichetta sono di 0,1 gr sui Grassi).
In realtà tutti tipi di latte sembrano identici dall’etichetta nutrizionale che non mette in evidenza differenze tali da far propendere per l’uno o per l’altro. Quindi risulta molto difficile e approssimativo qualsiasi tentativo del consumatore di fare un bilanciamento tra qualità e caratteristiche nutrizionali del prodotto, impronta ambientale e prezzo. Alla fine molto si gioca sulle abitudini, le preferenze personali e il gusto.

Packaging
Abbiamo due tipologie di packaging: il PET trasparente o il cartone accoppiato con la plastica. Il PET del latte Fior Fiore e del latte Fresco Origine è riciclabile ma è pur sempre plastica. La confezione del latte Origine e ViviVerde invece contiene plastica ma ha un’impronta ambientale più bassa grazie alla sua componente di cartone. Questo packaging richiede un po’ di impegno: va prima smontato e diviso tra plastica (parte superiore e il tappo) e la parte inferiore di cartone+plastica (C PAP 81) e poi differenziato adeguatamente, semplice per la parte in plastica, un po’ meno per la parte di accoppiato che oggi per lo più va differenziato con la carta ma l’indicazione dipende dalla gestione comunale. Alla fine di questa piccola fatica il premio dovrebbe essere quello di una minore impronta ambientale, data dalla presenza e dalla riciclabilità della cellulosa ma anche qui ci sono dei margini di variabilità dati dal territorio e dall’effettivo metodo di riciclaggio.
La scelta di tenere due packaging differenti sembra dettata più che altro dalla durata del prodotto contenuto e quindi è una scelta funzionale in cui il pack protegge il prodotto facendolo durare più a lungo.

Giudizio di sintesi

L’offerta del latte a marchio Coop
L’offerta del latte a marchio Coop si posiziona in generale ad un buon livello di sostenibilità, determinato da: una materia prima italiana, in parte da una zona di mungitura di pregio anche se piuttosto lontana dal punto vendita; dal packaging interamente riciclabile e per la metà a basso contenuto di plastica, dalla presenza di latte alta qualità e soprattutto delle due referenze intero e parzialmente scremato biologico che dovrebbero dare al prodotto un minore impatto (anche se rimane aperta la domanda, in quanto in particolare nella zootecnia il biologico è considerato mediamente come più impattante perché meno efficiente sul piano produttivo).

Voto 4 su 5

Il prodotto più sostenibile
Con le informazioni incomplete di cui un consumatore può servirsi davanti allo scaffale il latte più sostenibile a marchio Coop è il latte intero biologico ViviVerde in brick di plastica e cartone da 1lt.
Materia prima italiana che anche in quanto microfiltrata non presenta dal punto di vista nutrizionale differenze significative in etichetta con quello fresco di montagna, ha una durata prolungata riducendo il rischio di sprechi in fase di consumo, ha un packaging riciclabile, uno stabilimento non proprio vicino e un prezzo un po’ alto ma in linea con il latte biologico delle altre marche, di un 40% in più del latte fresco Origine.
Voto 3,5 su 5

Il retailer

Il prodotto a scaffale è tutto di un livello di sostenibilità buono e questo fa emergere però come sia difficile per non dire impossibile approfondire la scelta e renderla più consapevole.
Neanche Coop, per molti versi il più attento di tutti i retailer alle questioni ambientali e di sostenibilità in senso ampio, ci aiuta in questo caso a fare una scelta davvero consapevole. Le domande infatti come abbiamo visto abbondano, e travalicano i confini dell’aspetto tecnico, alla ricerca di una chiarezza sul rapporto tra impronta ambientale, trattamenti e qualità del prodotto che l’importanza radicale della sostenibilità impone. Ci sono davvero delle differenze apprezzabili tra latte trattato diversamente che l’etichetta nutrizionale non coglie? e come queste si vanno a bilanciare con l’impronta ambientale? E lo stesso vale per la provenienza: le differenze tra diverse provenienze del latte si potrebbero misurare in modo più preciso di quanto faccia l’etichetta nutrizionale, in modo da mostrare al consumatore ad esempio che il latte di montagna è diverso da quello genericamente italiano?
E anche sul criterio di territorialità che solitamente si indica come preferenziale per una scelta sostenibile non abbiamo rassicurazioni di sorta sul fatto che sia preferibile scegliere un latte biologico che ha fatto 120 km piuttosto che il latte di marca a km0, Alta Qualità e allo tesso identico prezzo. Questa è la responsabilità del retailer per l’intero ciclo di vita del prodotto a cui fa riferimento l’EU con le linee guida dell’OEF, questa è la responsabilità che i cittadini chiedono ai retailer.

Voto 2 su 5

Senza una misurazione dell’impronta ambientale, ovvero di tutto il ciclo di vita dalla produzione al post-consumo del prodotto, non c’è modo di rispondere con precisione, e in questa vaghezza sta tutta la difficoltà e l’approssimazione, necessaria ma insoddisfacente, di una spesa che vuole essere sostenibile.
A questo punto dovrebbe essere chiaro quanto e perché sia difficile fare una scelta sostenibile davanti allo scaffale anche per un prodotto così semplice e quotidiano come il latte. Tutto qui, per ora almeno. Le soluzioni in fondo le avevamo già prospettate e ci torneremo in seguito per esemplificare come si possa misurare l’impronta ambientale e costruire un contesto di senso che renda comprensibile ai più il valore e le conseguenze della scelta d’acquisto. Nel frattempo, nella confusione che si crea nella mente anche del consumatore più attento tra cosa sia sostenibile e cosa non lo sia, si affermano le scelte di pancia, di abitudine, sollecitate e non ragionate.

Il retailer

1 commento

  1. Mi complimento ancora una volta per il livello di analisi ma aggiungo la domanda del perchè un insegna come la COOP ,non possa assortireper la sua marca privata un fornitore territoriale per ogni polo distributivo che ha in Italia e perchè la pratica della fornitura del prodotto sfuso non si è potuta affermare .

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Sei umano? *

Condividi:

Popolari

Articoli simili
Related

l’IA rivoluzionerà tutto…anche il Retail

L'IA impatterà il mondo ed il retail in modo particolare. Dalla logistica agli acquisti, i processi verranno con ogni probabilità rivoluzionati. È meglio prepararsi per evitare di prendere l'onda del cambiamento in faccia.

Chi ha ucciso Clevi?

Clevi, startup creatrice di un sistema di rilevazione e comparazione dei prezzi retail applicati online, ha chiuso i battenti per mancanza di clienti e fondi, nonostante potesse apportare valore al mercato. Chi sarà interessato ad acquisirne proprietà intellettuale e strumenti di rilevazione?

Una nuova rivista di retail. Perché?

RetailWatch torna dopo 4 anni, in un momento sfidante per il retail nazionale ed internazionale, riprendendo lo stile e gli argomenti per cui è diventato famoso.