Perché l’agricoltore va remunerato. Il caso del Fagiolo Rosso di Lucca
Settembre 2016. Il Fagiolo Rosso di Lucca è un presidio di SlowFood. Rosso di Lucca, Aquila o Lupinaro, Cannellino di San Ginese, Malato, Mascherino sono solo alcuni dei nomi con cui sono conosciuti da secoli i fagioli della Lucchesia, un variegato insieme di ecotipi e varietà che hanno caratterizzato la storia agricola e alimentare della piana di Lucca e delle sue propaggini collinari. Il profondo radicamento di questa coltivazione nel territorio lucchese è testimoniato dai numerosi piatti della cucina locale che li utilizzano, dalle zuppe e minestre ai secondi fino all’abbinamento come contorno a carne, pesce e ortaggi
Il Fagiolo Rosso ha un ruolo importante
Una coltivazione che ha sempre avuto un ruolo importante nella vita della popolazione locale sia perchè seminata dalle famiglie contadine per l’autoconsumo sia perchè usata come merce di scambio per gli altri prodotti agricoli. In alcuni Statuti delle Comunità locali e di monografie di scrittori lucchesi come Le pratiche della campagna lucchese (1846) del marchese Antonio Mazzarosa, si fa riferimento alla coltura dei fagioli ed elenca anche un discreto numero di varietà, con notizie sulle tecniche colturali, sulle rese e sui risultati economici attesi da questa attività agricola. Altri documenti delle Compagnie religiose e dei Sindacati delle Feste testimoniano la presenza fondamentale del fagiolo nell’economia locale e già nello Statuto di Compito del 1781 si parla di fagioli che venivano coltivati sul territorio compitese nelle prime propaggini collinari della piana di Lucca.
E sono proprio i terreni della piana di Lucca, da secoli dedicati alla coltivazione di cereali e fagioli, che donano a questi ultimi una naturale delicatezza che accomuna tutte le varietà storiche della zona.
Il fagiolo rosso di Lucca veniva prodotto nelle aree più fertili della piana in terreni di medio impasto, tendente al sabbioso e, in particolare, a Lucca e Capannori nei terreni vicini ai corsi d’acqua, dove veniva coltivato in consociazione con il mais.
Il seme è caratterizzato da una colorazione rossa di varia intensità con striature che vanno dal vinaccia scuro al nerastro, un poco somigliante ad un borlotto ma assolutamente da non confondere con questa tipologia. Il profumo e il sapore intenso e deciso uniti alla morbidezza estrema della pasta lo rendono ideale per i primi piatti della tradizione lucchese minestra di farro, zuppa alla frantoiana e pasta e fagioli.
La remunerazione non è adeguata
RetailWatch ha voluto sentire il parere di un agricoltore di Colle di Compito (Lucca) per capire come il Fagiolo Rosso è prodotto, valorizzato e remunerato. Abbiamo partecipato al raccolto prima di una abbondante pioggia, appena in tempo per salvare l’annata. L’intervista è a Leonardo Matteucci che, come si capisce, ama profondamente questo territorio e i suoi prodotti. Purtroppo la remunerazione non è adeguata e Matteucci deve fare più lavori e soprattutto ruotare ogni tre anni le colture, acquistando macchinare diversi per ogni coltura, ovviamente. La sua famiglia partecipa alla produzione, al raccolto, alla selezione. Ed è alla ricerca di nuovi canali commerciali che rispettino maggiormente il prodotto e l’agricoltore.
Nel diversificare le produzioni ha da qualche anno testato con buoni risultati il grano Senatore Cappelli e il mais Otto Fila, una produzione perduta con rese più basse del mais normale ma con una qualità nettamente superiore al pari del Fagiolo Rosso.
Nell’intervista di RetailWatch emerge oltre che all’agricoltore l’uomo Leonardo con la sua voglia di fare, i suoi dubbi, il suo amore per queste produzioni.
Provate a dargli una risposta, almeno per quel che riguarda la giusta remunerazione.