P&G-Censis: la famiglia italiana va in pezzi… ma…

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P&G-Censis: la famiglia italiana va in pezzi… ma…

La famiglia italiana va in pezzi… ma non perde i pezzi

Aprile 2013. Un bambino su quattro nasce fuori dal matrimonio, 2 milioni le famiglie monogenitoriali e  1 milione quelle ricostituite. È boom nell’associazionismo a favore delle famiglie, sempre più in un’ottica di aiuto reciproco. Lo rivela un rapporto del Censis presentato a Roma nel corso dell’incontro P&G “Dalla parte delle mamme – per un Paese a misura di Famiglia” durante il quale il marchio Dash ha annunciato il finanziamento di altri 15 progetti  di associazioni che sostengono le famiglie oltre ai 15 già realizzati.

Ecco la ricerca di Censis per P&G.

LA FAMIGLIA ITALIANA – CHE VA IN  PEZZI MA NON PERDE I PEZZI – HA BISOGNO DI SUPPORTO E SI “AUTO-AIUTA”: SOSTENERE CHI LA SOSTIENE È NECESSARIO
 
1.    CONSIDERAZIONI DI SINTESI

In questi ultimi anni abbiamo assistito a come la famiglia si sta trasformando: si allarga, si moltiplicano i format familiari, conosce assetti impensabili fino a pochi decenni fa, eppure non si sgretola, non si sfalda, va in pezzi ma non perde i pezzi. Nel senso che nella famiglia nessuno resta solo, mentre è solo chi non ha famiglia.

Per certi versi si rafforza: è vista ancora come un luogo sicuro, tranquillo, in grado di proteggere i suoi membri, che come vedremo si moltiplicano in numero e in tipologie.

L’importanza della famiglia rimane centrale per gli italiani, anche quando si tratta di famiglie allargate, ricostituite, doppie, intergenerazionali.

La famiglia rimane un importante progetto di vita, forse il più importante; due aspetti sono assai rilevanti per capire, fuori dalla retorica, l’importanza crescente della famiglia, proprio nel momento della fine della famiglia tradizionale:

1.1.    La riscoperta della cultura matrimoniale

L’idea di “sacralità” del matrimonio è aumentata negli ultimi 20 anni, potremmo dire una sacralità laica, quindi piuttosto un senso di forte serietà dell’unione, il matrimonio come sforzo comune di uscita dalla propria soggettività per costruire qualcosa di più grande, quindi un matrimonio che può essere anche una convivenza, che può finire, ma che finché sta in piedi è una cosa seria, o almeno si vorrebbe che lo fosse.

1.2.    La riscoperta delle figure genitoriali

Cresce nella nostra società il bisogno di figure di riferimento, e le prime figure scelte dagli italiani come quelle cui ci si riferisce come modelli sono i genitori. Sorprende che proprio quando si dice che la figura del padre è “evaporata”, gli italiani dichiarano in percentuali maggiori rispetto a 20 anni fa che il padre è il loro modello.

È come se dopo l’evaporazione di valori che sembravano ormai superati, assistessimo a una ricondensazione e a una riprecipitazione, sotto forme un po’ diverse, di quegli stessi valori che sembravano abbandonati.

Ma è anche una famiglia sotto pressione, a cui è richiesto uno sforzo aggiuntivo anche rispetto al passato: le esigenze dei vari membri della famiglia (i figli piccoli, gli adolescenti, i giovani adulti, gli anziani e in generale il numero crescente di membri “acquisiti”) aumentano, nell’assenza pressoché totale di risposte pubbliche.

Ed è così che le famiglie si auto-organizzano, nasce il fenomeno delle famiglie che si aiutano tra di loro, prima spontaneamente, magari come aiuto di buon vicinato, ma via via in modo sempre più organizzato.

È l’“associazionismo per famiglie”, una fitta rete di associazioni che a vario titolo, e senza praticamente nessun supporto pubblico, offrono servizi assistenziali, formativi e di intrattenimento alle famiglie che da sole “non ce la fanno”.

Alcune, anche se numericamente poco significative, rendono servizi preziosissimi come l’assistenza fisica e morale ai malati e alle persone con disabilità; si tratta il più delle volte di esperienze nate tra famiglie che hanno condiviso le stesse difficoltà, dandosi reciproco conforto e aiuto; ma che poi si sono organizzate, ramificate e hanno messo la loro esperienza a disposizione di un bacino più ampio.

Ma esistono anche realtà associative più legate allo svago, più numerose, che si occupano della formazione e delle attività ricreative delle nuove generazioni, che hanno seguito lo stesso percorso spontaneo di nascita e crescita.

Si tratta di un fenomeno nuovo, causato da un lato dall’assenza di risposte “istituzionali” – si pensi a quanto sia ancora difficile aprire le scuole negli orari extrascolastici per ospitare attività “esterne” – ma che trova linfa vitale nell’assetto contemporaneo della famiglia italiana, una famiglia multiforme, ma non per questo meno forte, anzi dinamica, aperta e in osmosi con la società circostante.

È così che la partecipazione ad associazioni di vario tipo conosce il suo picco più alto proprio tra gli italiani che hanno figli adolescenti.

L’associazionismo quindi non è più un mondo di giovani con tanti ideali, né di anziani con molto tempo, ma incredibilmente di 40/50enni indaffarati, i quali evidentemente vedono che l’impegno che mettono nell’associazione si moltiplica in aiuto ricevuto.
 
2.    ANDATA E RITORNO DELLA GRANDE TRASFORMAZIONE DELLA FAMIGLIA

2.1.    La famiglia trasformata

Negli ultimi 25 anni la nostra società è stata percorsa dall’onda lunga della trasformazione strutturale delle famiglie, onda che ancor più di recente ha vissuto un’ulteriore trasformazione. Nell’ultimo decennio l’Italia (tab. 1):

–    ha perso 739.000 coppie coniugate con figli (-8%), ma ha visto aumentare di 274.000 le coppie non coniugate con figli;

–    ha visto aumentare le famiglie monogenitoriali di 345.000 unità (quasi +19%) e i single di quasi 2 milioni di persone (+39%).

Nel periodo 1998-2009 sono poi decollate le unioni libere, diventate oltre 881.000 (541.000 in più), che coinvolgono, inclusi i figli, oltre 2,5 milioni di italiani; le madri sole non vedove sono aumentate di 444.000 unità e diventate oltre un milione; le famiglie ricostituite coniugate sono aumentate di 252.000 unità, sono 629.000, mentre le famiglie ricostituite in totale (incluse le non coniugate) sono 1.070.000.

Sono ormai 5,9 milioni gli italiani che hanno sperimentato nella loro vita unioni libere, con regioni dove ormai circa un cittadino su cinque lo ha fatto; anche l’esperienza della genitorialità è sempre un po’ meno legata al matrimonio, con quasi un nato ogni quattro che ormai nasce fuori dal matrimonio (sono 134.398 pari al 23,6% del totale dei nati).

C’è un’articolazione dei format familiari che è la risultante di processi diversi, come la minore propensione al matrimonio (nel 2009 rispetto al 2000 ci sono stati quasi 54.000 matrimoni in meno), l’instabilità crescente con più separazioni (14.000 in più tra il 2000 e il 2009, con ormai 373 separazioni ogni 1.000 matrimoni) e scelte soggettive sul modo di stare insieme.

Dentro i format familiari più nuovi si rintracciano mutamenti relazionali importanti, a forte impatto sociale e di genere, se è vero che in essi, più che nelle coppie coniugate, entrambi i partner lavorano (il 58% nelle unioni libere, il 29,7% nelle coniugate) e più di frequente la donna ha un titolo di studio più alto rispetto al maschio (il 29,5% nelle unioni libere, il 24,7% nelle coniugate).
 
Tab. 1 – Tipologie e format familiari(v. a. e val. %)

                       

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
 
2.2.    La famiglia come progetto di vita

L’ambito familiare è quello più significativo per le persone, nonché la rete relazionale che più contribuisce a tenere insieme la società.

Alla richiesta di indicare cosa realmente conta nella propria vita, oltre il 96% ha indicato la famiglia in cui è nato, e una quota analoga ha indicato la famiglia che si è costruito (tab. 2).

La famiglia è sempre meno il luogo dei conflitti, visto che calano vistosamente rispetto al 1988 le quote di persone che, facendo riferimento a comuni situazioni di disagio indicano seri litigi genitori-figli, tra coniugi o anche tra fratelli (tab. 3). Infatti, i litigi tra genitori e figli, che nel 1988 erano frequenti nel 23,6% delle famiglie, nel 2011 scendono drasticamente al 4,4%, così anche i litigi tra coniugi che scendono dal 14,3% al 3% e quelli tra fratelli che scendono dal 15,1% al 2,9%.

Tab. 2 – Le cose che davvero contano per gli italiani (val. %)

Fonte: indagine Censis, 2011
 
Tab. 3  –    Percezione dei disagi presenti nelle famiglie degli intervistati: confronto 1988-2011(val. % e diff. %)

           
           

Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte

Fonte: indagini Censis, 1988-2011

D’altro canto, si riduce drasticamente anche la quota di intervistati che indica come disagio familiare frequente la mancanza di libertà: si passa dal 12,9% del 1988 al 2,1% del 2011; in generale, la famiglia è presumibilmente una sorta di tana sicura in cui rifugiarsi, dove non operano costrizioni o regole stringenti, e nella quale è possibile stare dentro senza troppo coinvolgimento o responsabilità, comportamento che genera il rischio di vedere le famiglie trasformate in mero “luogo di passaggio”.

2.3.    La cultura matrimoniale e la cultura della serietà dell’unione

Non è però solo il tema della famiglia a riconquistare tanta attenzione; parallelamente assistiamo all’avvio di una riscoperta anche della cultura “matrimoniale” nel senso più ampio di serietà dell’unione; non è un caso ad esempio che proprio dalla cultura più individualista e soggettiva, quella gay, provenga con forza la richiesta di una nuova regolamentazione matrimoniale; anche chi vede nel soggettivismo etico un “valore non negoziabile” si interroga su come la politica possa avere una funzione formativa e orientativa, anche in ambiti tanto personali come quello del matrimonio.

L’idea stessa del matrimonio che, come vedremo, per certi versi può anche coincidere con la convivenza stabile e di lungo periodo, rappresenta il più importante incontro con l’altro, in grado di portare l’individuo a uscire fuori da sé. Il matrimonio è l’incontro con l’alterità che ci completa. Il matrimonio è il luogo in cui si realizza un progetto di vita, in cui si realizza la propria umanità, in cui insieme si diventa più di quel che si è. In definitiva è lo spazio in cui si supera (o non si supera) l’individualismo, è lo spazio socialmente più significativo in cui le persone superano l’individualismo.

Proprio in relazione al matrimonio, rispetto al 1988 si riscontrano alcuni cambiamenti di opinione di particolare rilievo:

–    il 67,5% degli italiani nel 1988 si diceva d’accordo con l’affermazione che il matrimonio è una regola da rispettare, oggi questa percentuale è salita a 76,1%;

–    la sacralità del matrimonio convince l’11% in più degli italiani rispetto a 20 anni fa, dal 65,7% di persone che si dicevano d’accordo sul fatto che il matrimonio sia un vincolo sacro nel 1988, al 77,4% del 2011. Una sacralità che, considerato il dato così alto, coinvolge anche il mondo laico, e che rinvia a un valore trascendentale del vincolo coniugale al quale viene riconosciuta una forza trasformativa e di superamento della limitatezza dell’individuo.

Elemento di novità importante rispetto a venti anni fa è che la convivenza è messa sullo stesso piano del matrimonio dal 44,6% degli italiani, percentuale in crescita di nove punti, mentre è in lieve calo la percentuale di cittadini che ritiene che il matrimonio garantisca maggiore solidità al rapporto rispetto alle convivenze di fatto.

In concreto, nella percezione collettiva c’è una sacralità del matrimonio non prettamente religiosa, piuttosto di tipo “terreno”, vale a dire che il rapporto di coppia stabile, più o meno codificato, viene visto nel suo valore di veicolo di uscita e di superamento dei limiti di una libertà solipsista.
 
Tab. 4 –    Opinioni sul matrimonio: confronto 1988-2011 (val. %)

                          

Fonte: indagini Censis, 1988-2011
 
Di fronte alla potenza disgregatrice della soggettività, i rapporti di coppia stabili, non importa come codificati, sono visti come fattori di stabilizzazione nella vita delle persone e, più in generale, nella società.

Più in generale, per gli italiani la famiglia, nelle sue tante forme è ancora un efficace e positivo spazio della relazionalità, con il 90% che si dichiara soddisfatto delle proprie relazioni familiari.

2.4.    Il ritorno dei genitori

Nel 1988 il 63,2% degli italiani, dichiarava (Tab. 5) di non avere un modello o un maestro che ispirasse il loro comportamento; oggi la percentuale di quanti dichiarano di non avere alcun modello valoriale di riferimento è pari al 40,8% del campione, oltre 20 punti percentuali in meno rispetto a 20 anni fa.

È però sorprendente che a intercettare maggiormente la nuova domanda di modelli valoriali è la figura del genitore: il 22% degli italiani riconosce nel padre il proprio maestro (nel 1988 erano il 14,7%), mentre quasi il 13% si ispira agli insegnamenti ricevuti dalla madre (7,3%, nel 1988).

La figura genitoriale quindi non è “morta”, né si è completamente “vaporizzata” come pensa qualcuno, anzi oggi c’è una forte domanda di tali figure, c’è un forte bisogno di figure genitoriali autorevoli.

Infatti, ed è importante sottolinearlo, in questo caso la figura del padre e della madre viene vista con gli occhi dei figli, ciò fa pensare che i genitori continuino a esercitare il loro ruolo, probabilmente molto al di là di quanto soggettivamente si sentano in grado di fare.

Malgrado i genitori spesso si sentano inadatti, i figli continuano a fare riferimento a loro più di quanto non facessero le generazioni precedenti, con genitori più solidi.

Alla frase tipica dell’adolescente “io faccio quello che mi pare!” subentra pian piano il dubbio: “Ma se sono l’unico maestro di me stesso, cosa so fare? Se, dal punto di vista morale, non ho alcuna guida, come potrò crescere?”.

Questo meccanismo vale anche collettivamente, l’individualismo che ci caratterizza come italiani permette – e ha permesso – solo una crescita limitata, perché si cresce poco se si cresce da soli; per raggiungere nuovi traguardi, sia collettivi che individuali, occorre integrarsi in un tessuto sociale complesso, fatto di regole e di limitazione degli impulsi.

La nostra società è come un adolescente cresciuto, il quale deve accettare, se vuole diventare adulto, le regole della convivenza collaborativa.

I genitori sono i primi trasmettitori di queste regole e in particolare il padre, è lui il primo maestro nella limitazione degli impulsi; i dati ci segnalano che cresce il bisogno di figure paterne, di figure cioè in grado insegnare il controllo delle pulsioni.

Ciò è per certi versi sorprendente vista la latenza delle figure genitoriali e la dilagante cultura della “deregolamentazione”; non deve invece sorprendere, perché proprio l’aridità di un’eccessiva deregolamentazione sta facendo tornare d’attualità l’importanza delle figure genitoriali. Ciò dovrebbe comportare una maggior presa di coscienza da parte dei genitori, una presa di coscienza che sia anche un atto di fiducia in se stessi: “Dietro al rifiuto che i figli ostentano nei miei confronti, c’è il rifiuto del mio ruolo, ma anche l’implicita richiesta di continuare a esercitare quel ruolo”.

Tab. 5 – La trasmissione dei valori: confronto 1988-2011 (val. %)

Fonte: indagini Censis, 1988-2011
 
3.    I LAVORI DOMESTICI COME ESEMPIO DI UNA PARITÀ QUASI RAGGIUNTA

Emergono i segnali di un maggiore coinvolgimento dei maschi nella gestione delle attività domestiche, ma ciò non ha inficiato il modello più tradizionale centrato sul ruolo decisivo delle donne; non a caso i dati mostrano che il ruolo delle madri/mogli praticamente non ha subito cambiamenti: nel 1988 i mariti che non aiutavano mai nelle faccende domestiche erano il 52%, oggi sono “solo” il 21,6%; il 32%  aiuta spesso e il 46,7% qualche volta.

Risulta invece invariato il contributo che viene dai figli maschi: il 90% di loro aiuta poco o per niente nelle faccende domestiche.

Il dato più eclatante riguarda piuttosto le figlie femmine, che si sono sostanzialmente chiamate fuori dal disbrigo delle faccende domestiche, tanto che si può dire che il loro coinvolgimento è pari a quello dei fratelli maschi: più dell’82% delle ragazze in casa fa poco o nulla.

Tab. 6 – Le faccende domestiche: confronto 1988-2011(val. %)

Fonte: indagini Censis, 1988-2011
 
È una raggiunta, o quasi, parità dei sessi nelle nuove generazioni, tutta giocata al ribasso, fatta di una progressiva deresponsabilizzazione delle figlie femmine rispetto alla gestione della vita domestica, invece che di un coinvolgimento maggiore dei figli maschi.

Di fatto, è stato più forte il trasferimento di compiti dai figli ai genitori che quello dai maschi alle femmine, rendendo così le case degli italiani il luogo di una spaccatura intergenerazionale piuttosto che di genere.

I figli, maschi e femmine, sembrano avere trovato un modello comune di rapporto con la propria famiglia e la casa in cui vivono con i genitori: vi è un rapporto di pura funzionalità, che significa che i giovani di entrambi i sessi tendono a “usare” la casa come luogo in cui usufruire di alcuni servizi, rifuggendo da responsabilità, compiti, ruoli.
 
4.    UN ENTUSIASMO DISPENDIOSO

C’è quindi voglia e bisogno di famiglia, voglia e bisogno di relazioni stabili e costruttive, voglia e bisogno di genitorialità. Il tutto però richiede energie di cui la società moderna scarseggia: organizzazione, tempo, mobilità sono ormai i veri punti critici della vita contemporanea, per cui il moltiplicarsi dei format familiari, dei modelli di relazione e quindi in definitiva l’allargamento delle famiglie fa sì che anche gli impegni si moltiplichino  e che le richieste di cura, da parte dei soggetti meno autonomi, si allarghino, ricadendo il più delle volte sulle figure genitoriali e in modo particolare sulle donne. Ecco quindi aprirsi scenari in cui alle mamme, ma non di rado anche ai papà, è richiesto di prendersi cura dei bambini piccoli, degli adolescenti, dei post adolescenti e dei pre-adulti, degli anziani, magari di quegli stessi anziani che prima erano invece fonte di aiuto.

È facilmente immaginabile come tutto ciò richieda una grande energia da parte delle figure genitoriali, che cercano aiuto e supporto nell’ambiente circostante.

La famiglia articolata e allargata ricerca tale supporto primariamente al suo interno: l’esempio classico sono i figli del primo matrimonio che fanno da babysitter a quelli del secondo matrimonio; ma non sempre basta.

È questo il motivo per cui negli ultimi anni abbiamo assistito al diffondersi di un vero e proprio supporto sociale alle famiglie, un supporto prima spontaneo, e via via sempre più organizzato.
 
5.    NASCE L’ASSOCIAZIONISMO DI E PER LE FAMIGLIE

La famiglia è forse il soggetto sociale che ha saputo trasformarsi di più negli ultimi decenni, il soggetto che meglio ha saputo adattarsi ai cambiamenti sociali. Attorno alla famiglia, malgrado la pressoché totale assenza di politiche attive da parte delle istituzioni, si è creata una rete di sostegno di famiglie e per le famiglie.

È un fenomeno per molti versi sommerso e spontaneo, ma forte e ben presente sul territorio, e pone le sue radici nelle “abitudini di vicinato”; non è un caso se più del 45% degli italiani definisce il vicinato come “una comunità in cui tutti si conoscono, ci si frequenta e, se necessario, ci si aiuta”. L’auto-aiuto è un comportamento in gran parte misconosciuto in Italia, ma che quotidianamente supplisce a svariate carenze strutturali.

Ecco allora che la famiglia si appoggia sempre più a una tribù circostante, fatta a volte di nuclei familiari satellite, ma a volte di famiglie senza vincoli di  parentela: i vicini, i compagni di scuola o delle attività pomeridiane dei figli, un processo di delega e di auto aiuto che pian piano si è istituzionalizzato, ha fatto rete: è l’associazionismo delle famiglie e per le famiglie.

In alcuni casi si tratta di vero e proprio volontariato a favore di situazioni particolarmente critiche; ma tante volte si tratta di collaborazione e organizzazione per le attività ludico-ricreative, lo sport, i soggiorni estivi, la mobilità cittadina e quant’altro.

Sono più di 5.000 le associazioni di volontariato “ufficiali” che si occupano di supporto alle famiglie, circa il 15% del totale; a queste si devono aggiungere le 11.634 che si occupano di minori, il 33% del totale. Si può così affermare che circa la metà delle associazioni di volontariato ufficialmente iscritte all’albo si occupa in vario modo di supporto alle famiglie.
 
Tab. 7 – Associazioni di volontariato per tipologie

Il totale delle associazioni di volontariato non è la somma perché il 50% delle associazioni si occupa di più aree

Fonte: Istat

Ma come si è detto questi dati non sono sufficienti a descrivere il fenomeno nella sua interezza; ai dati sul volontariato occorre aggiungere i dati sull’associazionismo, e qui il campo è enormemente più vasto soprattutto per quanto riguarda il sostegno alle famiglie: associazionismo sportivo e ricreativo, naturalistico e ambientalistico, scoutistico e quant’altro, sono le vere “scuole fuori dalle scuole” cui i genitori si affidano non solo per “parcheggiare” i figli, ma anche per completare la loro educazione.

Non è un caso allora se l’impegno nell’associazionismo riguarda i 40-50enni molto più oggi di quanto non fosse 15/20 anni fa.

Quasi il 15% degli italiani adulti partecipa almeno una volta l’anno a riunioni in associazioni e poco meno del 12% dichiara di prestare un qualche servizio volontario; si tratta di un esercito di circa 5 milioni di persone, che quindi hanno un bacino di impegno, ben maggiore delle 35.256 associazioni “ufficiali” di volontariato, ma anche delle oltre 250.000 istituzioni no profit censite, in cui infatti operano (da censimento Istat), meno di 3,5 milioni di volontari. Esiste quindi un sommerso, che in questo caso dovremmo definire un informale, che coinvolge circa 1,5 milioni di persone che in qualche modo si danno da fare.

Ma la cosa più interessante, dal punto di vista delle famiglie, è che l’età in cui questo impegno aumenta coincide con l’età in cui si cominciano ad avere i figli “grandicelli”, non più bebè, vale a dire tra i 40 e i 55 anni per gli uomini e i 35-50 per le donne.

Nell’immaginario classico dovrebbe essere invece esattamente il contrario: nell’età in cui dai figli è richiesto il maggior sforzo organizzativo, è più difficile occuparsi anche degli altri, mentre “da giovani” si è più ben disposti al volontariato.

Se infatti consideriamo che mediamente il primo figlio arriva intorno ai 30 anni per le donne e intorno ai 34 per gli uomini, è facile immaginare che, in una famiglia con due figli, gli anni in cui i genitori hanno circa 40/50 anni siano i più convulsi per quanto riguarda la vita al di fuori delle pareti domestiche: scuola, lavoro e attività extrascolastiche dei figli, che a quel punto avranno circa 10/15 anni,  richiedono il massimo sforzo organizzativo.

Sembrerebbe il momento meno adatto per dedicarsi all’associazionismo, attività invece più adatta ad altre stagioni della vita, quando non si hanno figli o quando i figli si sono ormai resi autonomi, vale a dire dopo i 50/55 per le donne e dopo i 55/60 per gli uomini.

Invece avviene il contrario, proprio quando i figli sono nell’età in cui si affacciano sul mondo, ma hanno ancora bisogno del supporto anche organizzativo dei genitori, gli adulti si impegnano come non mai nell’associazionismo.

La distinzione di genere è fondamentale; osserviamo (Tab. 8) prima gli uomini: l’impegno nelle associazioni e nel lavoro volontario è, negli ultimi 20 anni, diminuito nelle classi di età tra i 14 e i 44 anni, all’incirca dal 12% al 10% di cittadini che “si impegnano”, mentre nelle classi di età che vanno dai 45 ai 54 anni, proprio l’età del maggior impegno professionale e familiare coi figli adolescenti, si è passati dall’11% al 18%. L’impegno invece scende sotto il 15% dopo i 60 anni.

Stesso meccanismo nel mondo femminile (Tab. 9); dal 1993 l’impegno delle donne è diminuito nelle classi di età sotto i 24 anni di circa 1 punto percentuale: dall’11/12 al 9/10% di persone “impegnate”, mentre è cresciuto nelle classi di età che vanno dai 25 anni in su, con punte proprio tra i 41 e i 55 anni, ancora una volta l’età dei figli adolescenti, in cui il 15,7% delle donne italiane dichiara di partecipare a riunioni di associazioni.

Il volontariato e l’associazionismo, impattando con la famiglia moderna, allargata, multiforme e affamata di energie, si sono trasformati da un movimento che aiuta a un movimento in cui ci si aiuta, dove l’impegno dei giovani adulti appena descritto altro non è che un impegno nell’auto-aiuto.
Questo vuol dire anche che per supportare le famiglie, nel loro rinnovato sforzo, nelle sfide cui la società moderna le sottopone, occorre sostenere chi le sostiene.

Tab. 8 – La partecipazione degli uomini nell’associazionismo

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
 
Tab. 9 – La partecipazione delle donne nell’associazionismo

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

Le attività sportive

Tra le attività extrascolastiche, quelle sportive sono certamente le più frequenti e coinvolgono più della metà delle famiglie: il 54% dei bambini tra 6 e 10 anni svolge un’attività sportiva in modo continuativo, così come il 56% dei ragazzi tra 11 e 14 anni. Curiosamente, le più dedite allo sport sono proprio le persone normalmente non autonome nel trasporto, infatti nessun’altra fascia di età supera il 50% dei praticanti.

Vuol dire che la metà dei bambini e degli adolescenti deve essere accompagnata, almeno una volta la settimana, nel luogo in cui svolge la propria attività sportiva.

Ma verosimilmente la “fatica” da parte dei genitori si limita al trasporto, il quale risulta problematico nei grandi centri urbani, ma nelle tante realtà di provincia che caratterizzano il nostro Paese potrebbe non essere altrettanto pesante. In realtà l’attività sportiva e l’associazione/struttura  che la rende possibile sono, specialmente in tenera età, i principali alleati educativi, dopo la scuola, dei genitori.

Tab. 10 – Persone di 3 anni e più che praticano sport in modo continuativo per sesso e classe di età – Anno 2011
                      (per 100 persone di 3 anni e più dello stesso sesso e classe di età)

                           
        

Fonte: Istat                       

La fatica a fare famiglia e l’associazionismo per le famiglie

Fino a non molti anni fa, il mondo dell’associazionismo che rivolgeva le sue attenzioni alla famiglia si concentrava sui problemi “estremi”, come quelli che toccavano la salute, la disabilità o le maternità difficili; negli ultimi anni è cresciuta l’offerta di un associazionismo per le famiglie in cui il problema non è connesso a situazioni anomale, ma a una sorta di “fatica a fare famiglia”, senza che numericamente sia diminuito quello che meritoriamente si rivolge alle famiglie problematiche.

Uno specchio di questa realtà, anche se statisticamente non significativo, ci viene dalle tematiche proposte nel progetto Idee per le mamme.

Infatti, a fronte di 42 progetti (il 10%) mirati ad affrontare problemi legati alla salute e alla disabilità, ce ne sono ben 160 (il 38,8%) che prevedono varie forme di sostegno alla genitorialità; si tratta di iniziative volte ad alleviare e a sostenere chi fatica a realizzare la propria genitorialità.

È anche questo un segno di come sono cambiate le necessità, visto che il mondo dell’associazionismo ha sempre saputo leggere quasi in tempo reale le esigenze sociali, elaborando rapidamente le risposte da dare: i genitori oggi sono sottoposti a un numero sempre maggiore di richieste, a cui da soli non sempre sanno fare fronte; l’associazionismo e l’auto-aiuto spontaneo che ne è alla base sono il primo sostegno alle famiglie “affaticate”.

Tab. 11 – Tematiche affrontate dai progetti presentati a Idee per le mamme


 

NOTA METODOLOGICA

L’indagine campionaria è stata realizzata attraverso la somministrazione di un questionario strutturato a un campione di 2.000 italiani.

L’eleggibilità dell’unità statistica prevedeva il raggiungimento della maggiore età e l’essere residente sul territorio nazionale.

Le interviste sono state condotte sull’intero territorio nazionale attraverso il sistema CATI (Computer Assisted Telephone Interviewing), una tecnica in grado di garantire affidabilità dei risultati e rapidità dei tempi di elaborazione, grazie al salvataggio automatico delle risposte su supporto informatico e alla possibilità di verifiche automatiche.

Il disegno campionario ha previsto numerosità proporzionale all’universo di riferimento stratificato secondo alcune variabili di tipo strutturale: sesso e classe di età. Sono state considerate due variabili territoriali, l’area e l’ampiezza demografica del comune di residenza, in modo tale da individuare le coordinate geografiche all’interno delle quali si colloca l’individuo.

La numerosità campionaria assicura, a un livello di confidenza del 95%, un errore campionario del 2,0%. La stratificazione effettuata, inoltre, garantisce stime più efficienti rispetto al campionamento casuale semplice di pari numerosità perché l’aumento di efficienza è proporzionale alla varianza delle medie di strato (ovvero, quanto più gli strati sono omogenei al loro interno tanto più la stratificazione è efficace).

I dati non in tabella sono dati Censis 2011/2012.

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