RAJ PATEL-BCFN: come rispondere agli eccessi del mercato

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RAJ PATEL-BCFN: come rispondere agli eccessi del mercato

Maggio 2012. All’inizio di maggio è stato distribuito da Barilla in libreria il lavoro multidisciplinare di ricerca svolto da Barilla Center for Food&Nutrition con titolo: Eating Planet 2012, Edizioni Ambiente.

Riportiamo l’intervento dell’economista Raj Patel: “Come rispondere agli eccessi del mercato”

Greg Page, presidente e amministratore delegato di Car- gill, colosso americano nel settore agroalimentare e dei ser- vizi finanziari, ha di recente sottolineato il paradosso principale del sistema alimentare globale: “Oggi viviamo in un mondo che non è mai stato così lontano dalla carestia ‘calorica’, perché il numero di calorie prodotto dagli agricoltori per abitante mondiale ha raggiunto livelli record, ma il problema sono i livelli di carestia ‘economica’, che sono più difficili da affrontare”.1
In fondo ha ragione, anche se non è del tutto obiettivo. Prima che il secondo affondo della recessione raggiungesse anche loro, Cargill e una serie di altre imprese agricole e alimentari cavalcavano con stile le onde della burrasca finanziaria internazionale, registrando profitti record mentre un miliardo di persone soffriva la fame. Page ha omesso di dire che la carestia economica è distribuita in modo disomogeneo. L’abisso tra le calorie prodotte, l’obesità sempre più dilagante – oggi oltre 1,5 miliardi di persone sono in sovrappeso – e una fame diffusa sono segno del fatto che il nostro sistema alimentare moderno si è dato da fare per produrre calorie e profitti, ma non è riuscito a sfamare il mondo. Questo scollamento è dovuto a cinque motivi contingenti. Il tempo è stato imprevedibile: tempeste, alluvioni e siccità si sono verificate con maggiore frequenza e intensità rispetto al passato. Sebbene nessun evento in particolare possa
essere imputato al riscaldamento globale, la tendenza rispecchia pienamente un’epoca di cambiamenti climatici che hanno ridotto i raccolti globali di grano del 5% negli ultimi trent’anni.2 In secondo luogo, gli investimenti nei biocarburanti hanno modificato i programmi degli agricoltori di tutto il mondo verso colture da utilizzare per la combustione anziché per l’alimentazione (secondo stime, tra il 15 e il 70% degli aumenti di prezzo globali nel 2008 può essere attribuito a questo fattore).3 In terzo luogo, la composizione della dieta occidentale, con la predominanza della carne e delle calorie “vuote”, comporta l’alloca- zione di una grande porzione di terra alla produzione di foraggio, con una politica di prezzo che esclude i più poveri dal mercato cerealicolo. In quarto luogo, l’aumento della speculazione finanziaria ha vincolato il prezzo del cibo ad altre commodity. Bisogna riconoscere che è una questione controversa e gli economi- sti sono impegnati in un acceso dibattito per stabilire se la causa dei problemi sia da ricercare negli speculatori. Alcuni modelli indicano che mentre l’entità del capitale speculativo è aumentata dal 12% del mercato dei futures cereali- coli di Chicago nel 1996 al 61% all’inizio di quest’anno,4 i maggiori livelli di liquidità non sono responsabili del rialzo nelle oscillazioni di prezzo nei mercati alimentari (figura 2.1). D’altro canto gli stessi operatori hanno confessato di gestire il mercato delle commodity a scapito dei consumatori,5 e questa non sarebbe la prima volta che la realtà non rispecchia i modelli degli economisti. In ultima istanza, il rialzo delle quotazioni del petrolio ha provocato un aumento dei costi di produzione e trasporto del cibo.
Questi fenomeni contingenti interessano un sistema alimentare in cui gli sconvolgimenti si diffondono velocemente al suo interno. Considerando i sistemi scadenti di stoccaggio dei cereali, le ridotte reti di sicurezza sociale, la povertà crescente, gli investimenti insufficienti nella ricerca agricola sostenibile, i servizi di credito e divulgazione, nonché la forte integrazione dei mercati cerealicoli internazionali, era inevitabile che alcuni sconvolgimenti nei distretti cereali- coli mondiali più importanti si ripercuotessero nell’intero globo, spingendo nel 2008 altri milioni di persone nella morsa della fame. Il meccanismo di fondo, nonché molti dei problemi citati, sussistono ancora oggi.
Purtroppo gli interventi diretti dei governi per affrontare i problemi sostanziali sono esigui. In risposta agli incendi e alle scarse forniture di cereali, la Russia ha annunciato una moratoria nell’esportazione del grano, che è stata efficace per gli agricoltori locali,6 ma ha generato un’ondata di panico nei mercati mondiali dei cereali nel 2010, provocando reazioni e proteste in tutto il pianeta.7 Cina e India si sono unite ad altri governi in una ricerca affannosa di fonti estere di cibo per le loro popolazioni, in particolare in Africa.8 Si tratta comunque di provvedimenti puntuali che non intaccano minimamente i cardini del sistema alimentare globale. Molte delle risposte politiche più interessanti alle carenze del sistema alimentare si riscontrano a livello locale, comunale e sub- nazionale, dove i Consigli per le politiche alimentari – molto diffusi in Nord America, dove se ne contano oltre 200 – vagliano diverse proposte per garantire ai cittadini il diritto al cibo.

Tassare lo zucchero?
Alcune città hanno cercato di affrontare qualcuno dei problemi connessi al sistema alimentare, ampiamente responsabile del fatto che oltre 1,5 miliardi di persone sono in sovrappeso. Un esperimento controverso riguarda una “tassa sullo zucchero”, che fa aumentare i prezzi degli alimenti ricchi di “calorie vuote”, come le bevande gassate. Si tratta di un tipo di tassazione regressiva, in quanto le tasse sul cibo colpiscono sempre in modo sproporzionato i poveri, che rispetto ai ricchi spendono nel cibo una parte più ingente del proprio bilancio familiare.
I sostenitori di questa tassa vengono dunque accusati di fomentare le guerre di classe. Come sostiene un ricercatore, l’“obesità è la conseguenza tossica dell’insicurezza finanziaria e di una situazione economica critica”.10 Se questo è vero, una tassa sulle bibite punisce i poveri e il loro essere vittime delle circostanze. E, naturalmente, se la tassazione delle bibite fosse fine a se stessa, non la riterrei assolutamente una misura opportuna. Esiste una lunga storia di guerre culturali in merito al cibo, dove ogni genere alimentare – dal pane alla Coca-Cola – diventa oggetto di un’accesa battaglia di classe e di identità.
Ciò premesso, se una tassa sulle bibite rientra in un programma più vasto per tenere sotto controllo le industrie alimentari e offrire a chiunque scelte concrete
all’interno del sistema alimentare, allora può avere un senso. Naturalmente, però, il fatto che una tassa incida in modo sproporzionato sulle classi più povere è motivo di preoccupazione. Ma la stessa cosa vale per le tasse sul tabacco. Diverso è se la tassa rientra in un progetto più ampio per addossare all’industria alimentare le spese sanitarie che colpiscono in modo eccessivo i poveri. In fin dei conti, l’obiettivo non è combattere le bibite, ma la povertà. Si tratta di una questione dibattuta da tempo.
Nel frattempo, gli esperimenti e le proposte di cambiamento vengono portati avanti non a livello nazionale o internazionale, bensì locale e regionale. Inoltre l’interesse non è rivolto tanto allo “Stato balia”, quanto a trovare delle risposte agli eccessi sfrenati del mercato. Infatti, finché il cibo viene distribuito in base alla capacità di acquisto, i più poveri saranno sempre afflitti dalla fame e chi semplicemente non è in grado di nutrirsi con cibo sano sarà sempre una fonte di profitto per l’industria alimentare. Oggi assistiamo a una reazione, a livello mondiale, contro lo status quo, che predica e pratica il controllo democratico del sistema alimentare, in molti casi per la prima volta.

L’intervento di Raj Patel è nel secondo capitolo di Eating Planet 2012
2. CiBo per tutti
Food for All affronta il paradosso dell’eccesso di cibo nei paesi occidentali e le difficoltà di accesso al cibo nei paesi in via di sviluppo. È necessario riflettere su come garantire un miglior governo del sistema agroalimentare su scala globale e rendere possibile una più equa distribuzione delle risorse e del cibo, per raggiungere gli obiettivi internazionali di sicurezza alimentare e favorire un migliore impatto sul benessere sociale, sulla salute e sull’ambiente.

Scarica il pdf del 2° capitolo di Eating Planet 2012, Edizione Ambiente per Bcfn-Barilla

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