Reyneri-UniBicocca: bisogna dare lavoro
Marzo 2014. Emilio Reyneri è intervenuto a un simposio organizzato da San Pellegrino. Ecco la sua tesi su quanto sta succedendo nella società e nel mondo del lavoro:
“Un sistema socio-economico che crea poca occupazione. In Italia, secondo l’indagine Istat sulle forze di lavoro, il tasso di disoccupazione nel 2013 ha superato il 12,5%, un livello mai raggiunto dagli anni Settanta, ma comunque superiore solo di un punto percentuale alla media UE. Tuttavia, lo scenario appare meno consolatorio se guardiamo non al tasso di disoccupazione, ma a quello di occupazione, che è inferiore di quasi 10 punti percentuali alla media UE: 55% contro 65%, secondo Eurostat. Escludendo Grecia, Spagna e Croazia, tra i 28 paesi UE l’Italia è quello che crea meno occupazione. Ciò si deve soprattutto alla bassa occupazione femminile: soltanto Malta, Grecia e Croazia fanno peggio. E con la crisi il divario con la maggior parte dei paesi UE si è accentuato.
Tuttavia il tessuto sociale (finora) “tiene” perché la scarsa occupazione è ridistribuita tra le famiglie. Rispetto agli altri paesi europei, in Italia è bassa la percentuale di famiglie con più di un reddito da lavoro, ma anche quella delle famiglie senza alcun reddito. L’Italia non è solo il paese dei figli unici, ma anche quello delle famiglie monoreddito. L’alta occupazione dei maschi capifamiglia ha consentito di mantenere moglie e figli senza lavoro. Ciò ha ridotto i rischi di grave povertà, sia pure a scapito dell’indipendenza economica delle donne e dei giovani (che escono tardi dalla famiglia di origine). Ma, sempre secondo l’indagine Istat, la crisi ha provocato un significativo aumento delle famiglie ove nessuno lavora: dal 2008 al 2012, nel Nord dal 4% al 6%, nel Sud dal 14% al 17%.
I picchi della disoccupazione ci sono già stati
Ma davvero 4 giovani su 100 sono in cerca di lavoro? L’attenzione per le gravi difficoltà della transizione dalla scuola al mercato del lavoro è meritoria, tuttavia l’enfasi mediatica sul tasso di disoccupazione oltre il 40% per i giovani da 15 a 24 anni è eccessiva. In questa fascia di età, secondo l’indagine Istat, nel 2013 quasi il 60% è ancora a scuola o all’università e coloro che sono in cerca di lavoro attivamente non raggiungono l’11%, meno che nel 1985-1986 quando erano oltre il 15%, ma molti meno erano ancora studenti. Se siamo usciti allora da una disoccupazione giovanile molto più grave, speriamo di uscirne anche ora. Semmai, è più grave la situazione dei giovani adulti, da 25 a 34 anni, poiché i disoccupati sono oltre l’12% e molti non vivono più con i genitori.
Proseguire gli studi conviene ancora? Si, nonostante tutto. Mentre l’Italia accoglie molti immigrati per svolgere lavori poco qualificati, un crescente numero di giovani laureati emigra alla ricerca di un lavoro coerente con la formazione acquisita. Tuttavia, in Italia un più elevato titolo di studio consente ancora ai giovani di trovare lavoro più rapidamente (o meglio meno lentamente) e agli adulti di correre un minore rischio di cadere in disoccupazione. Va detto, comunque, che il rendimento dell’istruzione (anche in termini di retribuzione e qualità del lavoro oltre che di rischio di disoccupazione) in Italia è decisamente più piccolo che negli altri paesi europei, nonostante la presenza di laureati tra i giovani sia ancora minore. Quella che è carente in Italia è la domanda di lavoro giovanile molto istruito”.
Emilio Reyneri, Sociologo del Lavoro
Emilio Reyneri è professore di sociologia del lavoro presso il Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell’Università di Milano Bicocca, di cui è stato il primo direttore. Ha insegnato nelle Università di Catania e Parma e ha diretto progetti di ricerca italiani ed europei sui problemi del mercato del lavoro e dell’immigrazione. Recentemente è stato guest editor di numeri speciali di «International Migration» e di «International Journal of Comparative Sociology» e ha pubblicato Sociologia del mercato del lavoro (Il Mulino, 20114) e (con F. Pintaldi) Dieci domande su un mercato del lavoro in crisi (Il Mulino, 2013).