Sapete cos’è il “shelf-facing one”? Ve lo spieghiamo

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Sapete cos’è il "shelf-facing one"? Ve lo spieghiamo
 
Dicembre 2016. A testimonianza della complessità teorica implicita nella funzione esercitata dai prezzi in un libero mercato e della logica complessa che lì lega ai vari fenomeni della vendita al dettaglio e del consumo, citerò un'osservazione largamente trascurata dai tanti esperti di marketing.
Se andate in un supermercato, constaterete che vi vengono offerti spaghetti n.5 della marca A, spaghetti scanalati di B, bucatini di C. In pratica i retailer scelgono di mettere in assortimento, marche diverse per referenze con caratteristiche anch'esse più o meno diverse. Sono esse equivalenti? Sono cioè intercambiabili in base a modificazioni di prezzo? Per certi consumatori sì, per altri no.
Abitualmente, si dà per scontato, però, che normalmente esistano delle estese situazioni in cui vige una stretta sostituibilità tra marche all'interno delle varie classi di prodotto, offerte nel medesimo punto di vendita. Il discrimine tra la scelta della referenza A e quelle B e C sarebbe allora il loro prezzo, o meglio i loro prezzi relativi, cioè i loro reciproci rapporti.
Tuttavia, ancor prima di buttarsi acriticamente nei calcoli bisogna riflettere su un fatto. Marche e formati presenti sul display non sono, in realtà, immediatamente sostituibili. Infatti, tutti i produttori e tutti i retailer perseguono un solo obiettivo: differenziarsi. Segmentare l'offerta sino ai più piccoli dettagli è uno degli scopi del marketing. Ne discende che, in situazioni in cui l'acquisto non è più soggetto a bisogni forti e in cui prevale una "mass customization", i presupposti degli assunti neoclassici della sostituibilità in base al prezzo, saltano, lasciando un vuoto concettuale imbarazzante, su cui un gran numero di esperti che parlano con grande sicurezza di prezzi, sorvolano tranquillamente.

La differenziazione
Come spiegato, già nel 1966, da Kelvin Lancaster, grazie alla  sua  "new theory of consumer demand", in una "economia dei consumi" avanzata, esiste invece sempre e comunque una caratteristica differenziante un bene  dagli altri. Accade nelle auto e anche nei biscotti  arricchiti in modo diverso: il cioccolato, la frutta, lo yogurt, le fibre, ecc.). Accade con lo shampoo e le sue profumazioni e le sue proprietà e così via.
In breve, il cliente deve scegliere varie alternative in base a CARATTERISTICHE QUALITATIVE DIFFERENTI e in base a PREZZI DIFFERENTI. La conclusione a cui Kelvin giunse fu quindi che un'auto rossa, non equivale ad un'identità auto bianca e non verrà scelta se il suo prezzo è di un euro inferiore alla quella bianca e  che se aumenta il prezzo dello zucchero non aumenta la domanda di bulloni, come invece continua (implicitamente) a sostenere la teoria neoclassica e a cascata il marketing accademico.
Scendendo dalla teoria alla pratica, in un supermercato accade questo: mentre le caratteristiche restano ovviamente fisse, il retailer, variando a sufficienza il prezzo può  indurre il cliente a passare da una marca all'altra. Certo. Ma come valutare la frizione, l'inerzia esercitata dalla diversa qualità? L'apprezzamento per un attributo (diciamo lo yogurt nei biscotti) può essere importante o nullo a seconda di ogni individuo. Ciò vuol dire che la sensibilità al prezzo risulta altamente soggettiva e perciò non generalizzabile e non quantificabile nella classica formulina da applicare ai dati, … tanto "big" quanto si vuole.
 
Quel che succede negli Usa
Soprattutto, se il retailer, come capita spesso, sceglie di mettere in assortimento delle referenze (di marche diverse) ciascuna con una specifica caratteristica differenziante, e se poi decide di eliminare la marca C, basso rotante, nell'immediato potrà sicuramente osservare uno switching verso  A o B. Tuttavia, egli non osserverà gli acquisti di C fatti in altri punti di vendita, in un'altra occasione, se quella caratteristica è davvero rilevante per un certo numero di clienti che non sono disposti a rinunciarvi.
Questo spiega perché nel mercato più sviluppato, gli USA, i retailer del grocery:
a) si specializzano e
b) gestiscono la coda lunga, ovvero più marche, aventi  le stesse caratteristiche come, per esempio le tante coconut water o le frozen pizza.
 
Questa è una delle ragioni per cui, in tutte le parti degli USA, catene come Wegmans, Marsh, Schnucks, …,  gestiscono dalle 50mila alle oltre 70mila sku, ovvero la “coda lunga” degli assortimenti. In quell’ambiente un supermercato concepito come i nostri, non sopravvivrebbe un anno. Certo è che, per praticare questo giochetto “all’americana”, bisogna padroneggiare ben bene  il "shelf-facing one", al fine di non tagliarsi economicamente le vene. Questa è una delle direzioni del progresso atteso del nostro merchandising.

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