Showrooming? E se il prezzo fosse disaggregato?
Giugno 2013. L’economista americano Ira Sohn ha scritto sul Financial Times (ripreso da Danilo Taino su Sette) una tesi interessante per combattere lo showrooming: disaggregare il prezzo finale, quello espresso sul cartellino, fra costo del servizio e costo del prodotto.
È una soluzione interessante che permetterebbe di evidenziare il costo del servizio (del personale di vendita, del funzionamento del negozio, dell’esposizione, ecc.) che, ovviamente, nel sito di vendita on line non esiste o è limitato alle spese generali. Questo soprattutto per i prodotti oggetto di showrooming: elettronica di consumo, abbigliamento, calzature, ma anche libri, bigiotteria. Il prezzo pulito praticato dal negozio si avvicinerebbe così a quello del e-tailer, ma in qualche occasione il negoziante fisico potrebbe pretendere il pagamento del servizio di prova (ultimamente in un negozio di calzature ho assistito alla prova di 9 paia di calzature senza che la cliente ne scegliesse poi una da acquistare: erano tutte di marca e probabilmente la stessa cliente è poi andata a casa a comprare su internet il modello e la misura esatta provata.
Quello della scomposizione del prezzo è un tema che ricorre anche nel food quando i prezzi sono troppo alti: sono invocati dai produttori agricoli per far capire quanto poco sono remunerati a scapito dei diversi passaggi di distribuzione e re-distribuzione. Però in epoca di trasparenza e di richiesta di maggiori informazioni da parte delle persone che comprano, forse sarebbe il caso di adottare il prezzo scomposto.
Assolutamente necessaria l'adozione di un prezzo trasparente che garantisce una scelta consapevole del consumatore: come in tanti altri casi con il tempo è una scelta che incrementa la fidelizzazione e le quote di mercato, infatti già alcuni la adottano nel food (Altromercato lo ha annunciato non ho verificato se lo fa davvero). In ogni caso, non c'è sempre bisogno di guardare al di là dell'Atlantico per avere esempi innovativi. Nel nostro paese – che rimane un luogo ostile all'innovazione – abbiamo già qualche esperienza di successo nella disaggregazione del prezzo: un esempio nel mercato garden e brico offre in store il prodotto con il prezzo con servizio di consulenza in negozio, il prezzo con servizio di montaggio on site, il prezzo nudo. Sebbene non abbia già uno storico apprezzabile, l'alternativa è molto apprezzata dal cliente secondo quanto riferisce l'imprenditore. Come già autorevolmente riportato da questa rivista, la soluzione per il retailer che vuole difendersi dalla concorrenza e-tailer si basa anche sulla multifunzionalità del punto vendita, sull'esperienza d'acquisto che questo garantisce e su un solido web crossing che capitalizzi le vendite del cliente che prova sul posto ma compra su internet. Ottimo spunti su questa rivista web, complimenti!
Molto interessante! Mi ricorda l'iniziativa di Bonobos negli States, un negozio di abbigliamento reale ma solo per provare gli abiti. Gli acquisti "rimandati" ad internet comodamente da casa, per uscire dal negozio senza il peso delle borse e per avere un "servizio dedicato e professionale" in negozio, dove addirittura si arriva per appuntamento. Facile intuire che, per non farsi scappare la vendita, l'operatore "allungherà" un iPad connesso alla rete per effettuare l'ordine prima di uscire. E' comunque sempre questione di servizio. Tutti sappiamo che, quando andiamo per esempio a fare l'aperitivo, paghiamo anche il mangiare che consumiamo o meno. Questo non e' ne etico ne tantomeno un corretto approccio verso la fidelizzazione del cliente, spesso troppo con la testa tra le nuvole per accorgersi o aver voglia di chiedere sia il giusto servizio che il giusto prezzo. Ben vengano queste iniziative! Grazie Luigi per le sempre interessanti informazioni e spunti che condividi.