Siamo al nocciolo del problema: perseguire insieme, per il retail, una direzione smart e una safe

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Giugno 2020. Come si possono interpretare i percorsi che le aziende retailer stanno intraprendendo oggi nell’era post Covid-19, seguendo insieme una direzione smart e una safe?

Sono cinque le chiavi di differenziazione individuate per affermare il proprio successo nel contesto competitivo.

  • Safe Retail: i retailer oggi più che mai devono rispondere all’esigenza del consumatore di vivere la propria customer journey secondo chiare norme di sicurezza e di igiene. C’è chi lo fa come Lush, che ha deciso di dedicare il flagship londinese ai clienti che vogliono disinfettare le mani, o come McDonald’s, che in Cina ha posizionato un tavolino tra la cassa e il cliente in coda per garantire il distanziamento sociale, o ancora il Mercato Pordenone (mercato rionale italiano) dove il commesso di uno degli esercizi al dettaglio indossa due guanti di colore diverso – uno per maneggiare i soldi contanti e l’altro per toccare il cibo -.
  • E-Commerce: senza dubbio l’esperienza del Covid ha accelerato – e non generato ex novo – il processo di conversione al digitale, ma, secondo una ricerca condotta dall’Istituto Piepoli a maggio, il 52% dei rispondenti ha espresso la propria intenzione, alla fine dell’emergenza, di ridimensionare i propri acquisti online dei prodotti food, e il 40%, da quando è arrivata l’emergenza, dichiara di non avere acquistato online prodotti non food.
  • Smart Retail: i retailer offriranno esperienze sempre più cross-canale e fondate sulle esigenze del cliente. Alcuni casi che già operano in questi termini: BestBuy negli USA sfrutta il marciapiede come picking point; Starbucks a New York ha aperto un punto vendita esclusivamente dedicato al pick-up del proprio ordine; Elena Mirò del Gruppo Miroglio ha attivato un servizio di remote personal shopper tramite video (l’operatrice può consigliare la cliente accedendo al suo guardaroba); OVS in Italia dà la possibilità alla cliente di selezionare online una serie di capi e di prenotare la visita in negozio, trovando così direttamente in camerino gli abiti per la prova; Mondadori Store ha attivato un servizio di personal shopping per consigliare telefonicamente il cliente sul libro da leggere.
  • Store Transformation: il punto vendita è quindi centrale nell’esperienza fisica del cliente ma si deve adattare alle nuove abitudini di fruizione di servizi digitali. Tra i casi citati: Bonprix in Germania ha disegnato un nuovo layout per ospitare una sezione dedicata al click&collect e ha impostato una soluzione di emissione scontrino automatica in base ai capi provati in camerino e tenuti dalla cliente; Elena Mirò ha riprogettato lo spazio in piccoli showroom interni indipendenti dove la cliente viene seguita individualmente dalla personal shopper; Sumo Salad nel Regno Unito ha separato i flussi del cliente tra le due tipologie di prodotto disponibile (insalata da personalizzare / ready-to-go).
  • Responsible Retail: il retailer deve manifestare e condividere col cliente la propria scala valoriale, che non può prescindere dai temi ambientali e sociali.

Tra gli esempi più interessanti citati da Kiki Lab su come i brand del retail stanno reagendo oggi alla fase 3 quello di IKEA, che per far fronte alla moltiplicazione degli ordini online ha riconvertito parte delle superfici delle location ad area logistica; Esselunga, che ha lanciato una nuova app Amici Vicini per mettere in contatto clienti che vogliono prestare il proprio aiuto con altri nelle vicinanze che non possono uscire di casa, nemmeno per fare la spesa; Lush, nei cui store i commessi escono e prendono l’ordine direttamente in strada dal cliente in coda, così da non creare ingorghi all’interno e perdite di tempo per il cliente.

Fonte: Smart & Safe Retail, organizzato da Kiki Lab

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