Un italiano su tre si percepisce come dipendente da smart phone

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Aprile 2019. È diventata opinione comune che lo smartpho­ne, oltre a rappresentare il compagno fedele di ogni nostro gesto quotidiano, possa creare una forma di dipendenza cro­nica: dai risultati dell’indagine Stili d’Italia dell’Ufficio Studi ANCC-Coop, emerge come circa un terzo degli italiani (32% degli intervistati) ritenga di aver sviluppato una qualche forma di dipendenza nei confronti dello smartphone, quota che au­menta sensibilmente tra i giovani (45% del totale) ed è più alta tra le donne rispetto agli uomini.

La vibrazione fantasma

Come tutte le dipendenze anche quella nei confronti dello smartphone ha i suoi sintomi, più o meno gravi e più o meno diffusi: secondo una recente indagine Doxa, il 67% degli ita­liani controlla le notifiche entro i primi cinque minuti della giornata, mentre per il 59% della popolazione lo schermo del dispositivo è l’ultima immagine prima del riposo notturno; il 90% degli italiani dichiara il proprio malessere nel trovarsi a dover ricaricare la batteria del proprio smartphone almeno una volta al giorno. Alcune indagini in campo medico hanno inoltre documentato come nove persone su dieci soffrano del­la sindrome della cosiddetta “vibrazione fantasma”, ritenendo erroneamente che il loro cellulare stia vibrando in tasca per l’arrivo di email o messaggi, in luogo di quelli che sono piccoli e fisiologici spasmi muscolari.

La tecnologia ha inoltre “bruciato” gran parte della nostra capacità di concentrazione: è stato scientificamente dimo­strato che in media l’attenzione cala dopo meno di 10 se­condi. Non potrebbe essere altrimenti se si considera che, a causa delle notifiche delle app, veniamo interrotti una volta ogni 180 secondi ma che, secondo uno studio realizzato da Microsoft, impieghiamo più di 20 minuti per tornare pro­ficuamente all’attività precedente. L’effetto di questo conti­nuo tira e molla è a dir poco deleterio sul benessere indi­viduale: per recuperare il tempo perso tra notifiche, gruppi WhatsApp, mail e conference call, dovremmo passare in uf­ficio due ore in più al giorno.

Rapporti sociali e relazioni ridotte

L’immersione nello smartphone ha altresì contribuito a determinare una minore empatia ed una maggiore super­ficialità nei rapporti sociali. I sociologi hanno sottolineato come da questo approccio origini una chiusura alle relazioni che si è tradotta nella diffusione di alcuni comportamenti devianti messi in atto online, dal consumo di materiale por­nografico, che arriva in alcuni casi a sostituire la sessualità nella coppia, al bullismo, spesso praticato per guadagnare visibilità in rete.

Se queste sono le premesse, non stupisce che gli italiani, in compagnia degli spagnoli, siano stati i primi in Europa a mani­festare una qualche forma di criticità nei confronti della tecno­logia. Per esempio, quattro individui su dieci sono consapevoli di utilizzare il proprio device mobile in misura eccessiva: in ambito familiare a contestare questa pratica sono in particola­re il partner (35% dal 27% dello scorso anno) ed i figli (dal 27% al 32% nel corso degli ultimi dodici mesi).

Limitazione delle libertà individuali

Proprio i giovani, sebbene più “colpiti” dalla febbre da smartphone, sembrano essere i più predisposti ad una forma di uso più misurato: più del 20% degli under 35 (contro il 5,7% degli over 65) associa la tecnologia ad una limitazione della li­bertà individuale. A preoccupare, nello specifico, è la gestione dei dati raccolti dai dispositivi connessi, nel timore che pos­sano finire nelle mani degli hacker e che siano utilizzati con finalità commerciali o comunque diverse da quelle dichiarate.

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